Ho visto un Re in Giallo

Lucius Etruscus

 

Ritrovare il diario della vittima di un omicidio può essere una svolta importante per le indagini di un detective, ma la portata delle frasi scritte sulle pagine esula molto dal genere narrativo che si sta seguendo: «Ho chiuso gli occhi e ho visto il Re in giallo che attraversava la foresta».

È il 19 gennaio 2014 quando questa frase viene pronunciata nelle televisioni americane, come twist di sceneggiatura della puntata 1×02 della fortunata serie True Detective. Quell’anno l’esausto mondo dell’intrattenimento riesuma un mito che è vissuto sottopelle per più di un secolo ed è stato la scintilla per miti ben più noti: un colore viene riportato alla luce. Ed è il colore della follia…

Eppure già due anni prima di questo evento c’era stata un’avvisaglia che i tempi erano maturi perché il Re tornasse a reclamare il suo trono. Con l’arrivo nei cinema dell’ultimo episodio della nuova (per l’epoca) trilogia di Batman, Il cavaliere oscuro. Il ritorno (The Dark Knight Rises, 2012) di Christopher Nolan, sembrava chiaro l’aggancio al Re in Giallo, ma pochi sembrano averlo notato: e sì che con True Detective si sono scatenati i “cospirazionisti in giallo” per trovare “segni” ovunque.

Il personaggio di Catwoman (interpretato da Anne Hathaway) viene presentato come “costretto” a una vita criminosa perché i peccati di gioventù sono impossibili da cancellare, in un mondo digitale dove chiunque abbia una connessione a internet può scoprire il passato di una persona. (Sorvoliamo sull’eccessiva teatralità di questo spunto narrativo, visto che la Rete dimentica tutto esattamente come qualsiasi comunità umana.) Catwoman però sembra aver trovato la soluzione in un software che una società sta studiando: un programma chiamato “smacchiatore” (clean slate, in originale, traducibile con il latinismo tabula rasa).

«Digiti un nome e una data e il programma in pochi minuti fa scomparire quella persona da tutti i database della terra»: così ci viene spiegato il funzionamento di questo incredibilmente magico software. Così chi ha una reputazione macchiata, come appunto il personaggio di Catwoman, può ripulirsela e ricominciare daccapo. Esattamente l’idea che ha avuto il contabile Henry B. Matthews: «Reputazione danneggiata all’ippodromo. Conosciuto come allibratore che non paga le scommesse. Reputazione da riparare entro il primo agosto. Tariffa cinque dollari».

Lo “smacchiatore” del 2012 non è altro che un’idea riciclata – per caso o volutamente – dal racconto Il riparatore di reputazioni (The Repairer of Reputations) di Robert W. Chambers, che apre un’antologia in grado di cambiare da sola la narrativa occidentale: The King in Yellow (1895).

 

Il giovane Chambers studia disegno e pittura a Parigi ma si diletta anche con la scrittura, tanto che una volta tornato nella città natale di Brooklyn decide di dedicarsi maggiormente a quest’ultima arte, con soggetti inusuali. Quella che in seguito verrà chiamata “fantascienza” è molto nota all’epoca per via dei romanzi di Jules Verne, ma Chambers scrive un genere particolare che in seguito verrà chiamato “fantascienza ucronica”.

Così nella New York del 1895 l’antologia The King in Yellow ci parla di una strana New York del 1920, a metà tra distopia, ucronia, fantapolitica, e tutto ciò che gli amanti delle etichette vorranno aggiungere. «Verso la fine dell’anno 1920 il Governo degli Stati Uniti aveva praticamente realizzato il programma adottato durante gli ultimi mesi del mandato del presidente Winthrop. Il paese sembrava tranquillo. Tutti sapevano benissimo in che modo erano stati risolti i problemi delle Tariffe e del Lavoro. La guerra con la Germania, scoppiata quando la nazione europea aveva occupato le Isole Samoa, non aveva lasciato cicatrici visibili sulla Repubblica». Così si apre il primo racconto, Il riparatore di reputazioni, nella rara traduzione italiana di Cesare Gavioli.

Nel nostro Paese l’opera di Chambers è rimasta del tutto inedita (e sconosciuta) fino al novembre 1975, quando Gianfranco De Turris e Sebastiano Fusco ne curano un’edizione per la collana “Futuro” (n. 17) della Fanucci. Nell’agosto 1989 la stessa Fanucci ripropone l’opera nella collana “I Maestri del Fantastico” (n. 3): queste sono le uniche due edizioni complete italiane fino al febbraio 2014, quando grazie al successo della serie True Detective le Edizioni Hypnos ripresentano il testo anche in digitale. Alcuni dei racconti, invece, sono stati più volte pubblicati in varie antologie dedicate all’horror o al fantastico.

Nel racconto in questione il protagonista afferma di punto in bianco: «durante la convalescenza avevo acquistato e letto per la prima volta Il Re in Giallo». Dove l’ha acquistato? Non si sa: Chambers sarà sempre particolarmente avaro di particolari, ma quel che conta – e che questa semplice frase non sembra lasciar presagire – è che è appena nato un genere narrativo.

Ho visto un re in giallo

Grazie alla grande esplosione esoterica degli anni Settanta, anche la distratta Italia si è appassionata a qualcosa che gli anglofoni amavano da decenni: il grande gioco degli pseudobiblia. Il neologismo greco l’ha inventato Lyon Sprague De Camp il 29 marzo 1947, pubblicando lo storico saggio The Unwritten Classics sul «The Saturday Review of Literature» (vol. 30, n. 13), ma il concetto di “libri falsi” è anteriore. Molto anteriore.

De Camp va indietro fino agli antichi egizi ma la narrativa non è interessata ai “veri libri falsi” – cioè a titoli che sono rimasti nel background culturale anche quando fisicamente non ci sono prove della loro passata esistenza – perché è molto più intrigante il divertissement letterario di inventare volutamente un libro che non esiste. Il primo caso si fa risalire al 1532, quando François Rabelais si diverte un mondo a inventare centinaia di libri dai titoli improbabili e infilarli nella Libreria di San Vittore citata nel Pantagruel: dal De modo cacandi all’Ars honeste petandi in societate, difficile stabilire quanti dei 150 libri citati siano veri e quanti inventati per mero dileggio.

Dopo un inizio così esplosivo bisogna aspettare l’Ottocento perché il grande gioco degli pseudobiblia riacquisti la valenza umoristica: nei secoli precedenti, infatti, si era più interessati a libri falsi truffaldini da vendere a ricchi collezionisti. Thomas Carlyle è il caso più divertente, perché nel suo Sartor Resartus (1836) – letteralmente Il sarto rappezzato – recensisce il saggio Die Kleider. Ihr Werden und Wirken (Gli abiti, loro origine e influenza) dell’autore tedesco Diogenes Teufelsdröckh: titolo e autore inventati, un espediente per attribuire ad altri le proprie idee moralistiche sul proprio tempo.

Citando giusto di sfuggita il Mad Trist (con le sue «scialbe e ridicole lungaggini») di Sir Launcelot Canning – inventato da E.A. Poe per La caduta della Casa degli Usher (The Fall of the House of Usher, «Burton’s Gentleman’s Magazine», agosto 1839) –, sono davvero pochi gli pseudobiblia della narrativa ottocentesca: sarà proprio Il Re in Giallo di Chambers ad aprire una via seguita per tutto il successivo Novecento.

 

Dopo averne letto poche pagine, il protagonista di Il riparatore di reputazioni getta il suo misterioso libro nel camino, per poi sottostare a un irrefrenabile desiderio di recuperarlo a costo di bruciarsi le mani. «Lo lessi e lo rilessi, e piansi e risi e tremai in preda a un orrore che talvolta mi assale ancora oggi. Ed è questo che mi turba, perché non posso dimenticare Carcosa, dove stelle nere si librano nei cieli; dove le ombre dei pensieri degli uomini si allungano nel pomeriggio, quando i soli gemelli scendono nel Lago di Hali; […] Prego Iddio perché maledica l’autore, così come l’autore ha maledetto il mondo con la sua creazione bellissima e tremenda, terribile nella sua semplicità, irresistibile nella sua verità… un mondo che ora tremava al cospetto del Re in Giallo».

Tramite l’intrigante espediente dello pseudobiblion – questo è il singolare della parola inventata su base greca, checché se ne legga in giro – Chambers introduce l’argomento che più gli preme: la creazione di mondi fantastici (Carcosa), pieni di magie spesso infernali, di paesaggi alieni e di misteri vari. Tutte atmosfere che influenzeranno pesantemente autori successivi come H.P. Lovecraft, il quale in seguito scriverà «Genuino è il flusso di orrore che scorre attraverso l’opera di Chambers […] Il Re in Giallo raggiunge vertici eccezionali di paura cosmica». Un altro celebre scrittore, August Derleth, ebbe a dire: «Il Re in Giallo resta oggi come un capolavoro del suo genere, e insieme con le opere di Poe e Bierce ha il merito di aver ispirato direttamente i “Miti di Cthulhu” di H.P. Lovecraft».

Cerchiamo di sapere qualcosa di più sulla storia del Re in Giallo, il “libro falso” che ogni tanto appare nei racconti dell’antologia omonima di Chambers. «Quando il governo francese sequestrò le copie tradotte appena arrivate a Parigi, Londra ovviamente fu presa dalla smania di leggere quell’opera». Il libro si diffuse a macchia d’olio (anzi, «come una malattia infettiva»), sfidando denunce e censure varie, provocando attacchi e apologie, ma su una cosa tutti erano concordi: «che la natura umana non era in grado di reggere quella tensione, di vivere di parole nelle quali stava in agguato l’essenza del veleno più puro». Il libro è quindi una sorta di “soglia” oltre la quale il lettore può conoscere un’altra realtà, una dimensione talmente diversa dalla nostra da indurre alla pazzia. Stranamente, però, solo il protagonista impazzisce dopo la lettura del libro, mentre del destino di tutti gli altri lettori europei dell’opera non ci è dato sapere.

Altri dati tecnici sull’opera sono scarsi. Forse l’autore è morto suicida, o forse no. Si sa che il libro è strutturato come un testo teatrale e Chambers ne riporta un brano, tratto dall’atto primo, scena seconda:

 

Camilla: Signore, devi toglierti la maschera

Sconosciuto: Davvero?

Cassilda: Davvero; è l’ora. Noi tutti abbiamo deposto i travestimenti, tranne te.

Sconosciuto: Io non ho maschera.

Camilla: (Atterrita, a parte a Cassilda): Non ha maschera? Non ha maschera!

 

Da dove nasce in Chambers l’idea per il suo King in Yellow? Se Lovecraft e gli altri grandi autori della storica rivista «Weird Tales» recupereranno le sue atmosfere più di trent’anni dopo l’apparizione del Re in Giallo, è pur vero che quest’ultimo non nasce dal nulla.

La scelta di Carcosa come nome della città fantastica, per esempio, si rifà a Un cittadino di Carcosa (An Inhabitant of Carcosa), racconto breve di un maestro incontrastato del genere: Ambrose Bierce. «Mi trovavo chiaramente a una considerevole distanza dalla città dove abitavo, l’antica e famosa città di Carcosa» afferma il protagonista del racconto in questione – arrivato per la prima volta in Italia nel maggio 1972 grazie a Del Bosco Editore – prima che un’esperienza trascendentale per niente invidiabile lo porti ad ammirare le rovine della sua città. Il racconto appare il 25 dicembre 1886 sul «San Francisco Newsletter», nove anni prima del Riparatore di reputazioni, e come poteva resistere Chambers a un elemento che conquisterà in seguito anche altri autori?

«Io ho visto le sette morti di Commoriom e i ventitré dormienti sui quali, a Carcosa, Hali alza i suoi neri tentacoli»: scrive Donald Wandrei nel suo La signora in grigio (The Lady in Gray, «Weird Tales», dicembre 1933; in Italia, «Il Meglio di Weird Tales» n. 1, Fanucci 1987). Non pago, Wandrei ribadisce: «Gli anni irrecuperabili in un universo più lontano di Carcosa e di Hali lo dividevano da quel morto sogno d’amore», dal suo Colossus («Astounding», gennaio 1934; in Italia, Alba del Domani, Nord 1976). «Hastur l’Inesprimibile è stato imprigionato nel lago di Hali a Carcosa» ci informa Brian Lumley nel suo La casa del tempio (The House of the Temple, «Kadath», novembre 1980; in Italia, collana I Miti di Cthulhu n. 21, Fanucci 1987). La celebre Marion Zimmer Bradley si diverte a chiamare Carcosa una città del suo romanzo fantasy Attacco a Darkover (Traitor’s Sun, 1999), toponimo più volte citato nel suo ciclo di storie.

Carcosa dunque non è un elemento originale di Chambers: lo è invece il giallo? Perché il Re è “in Giallo”? Perché questo colore, visto che non ci sono attinenze nel testo? Si può pensare ad un’altra fonte ispiratrice, come il racconto Il re dalla maschera d’oro (Le Roi au masque d’or, 1892) di Marcel Schwob, storia d’un re che scopre l’orrore sotto la propria maschera dorata che probabilmente Chambers lesse mentre studiava a Parigi. Ma l’oro è una cosa, il giallo è un’altra…

Non sembra esistere una risposta definitiva al riguardo, così ne fornisco una io: probabilmente Chambers ebbe l’idea del colore giallo quando nel 1891 – quattro anni prima della comparsa del suo primo racconto – venne raccolto in volume un romanzo apparso a puntate nel luglio dell’anno precedente sul «Lippincott’s Monthly Magazine», in cui un misterioso Libro Giallo avvelenava la vita del protagonista. L’autore è Oscar Wilde e il titolo è Il ritratto di Dorian Gray (The Picture of Dorian Gray).

«Lo sguardo gli cadde sul libro giallo che Lord Henry gli aveva mandato», si legge nel decimo capitolo. (Curiosamente l’ottimo Masolino D’Amico traduce “color ocra”, ma l’originale yellow book non lascia adito a interpretazioni.) «Che cosa era? […] Era il più strano libro che gli fosse mai capitato tra le mani. Gli sembrava che tutti i peccati del mondo, in vesti preziose e al delicato suono di flauti, gli passassero dinanzi in silenzioso corteo. Cose appena sognate si facevano improvvisamente reali per lui; cose che non aveva neppur immaginato in sogno gli si andavano rivelando». Davvero molto simile alle atmosfere evocate dal King in Yellow.

Per quanto questo libro senza nome sia appena citato nel testo di Wilde, lo stesso ha un’importanza fondamentale nella storia del giovane protagonista. «Per molti anni Dorian Gray non poté liberarsi dell’influenza di quel libro», viene raccontato all’inizio dell’undicesimo capitolo. «Tutto il libro gli sembrava contener la storia della sua vita, scritta prima che egli l’avesse vissuta». Il gioco letterario è completo.

Ci sono varie scuole di pensiero che cercano d’identificare questo misterioso libro descritto da Wilde: c’è chi dice che il Libro Giallo fosse Controcorrente (À Rebours, 1884) di Joris-Karl Huysmans, c’è chi dice che fosse La signorina di Maupin (Mademoiselle de Maupin, 1836) di Théophile Gautier. Quello che qui interessa è che l’inaspettato Wilde abbia non solo partecipato al gioco degli pseudobiblia, ma che abbia anche creato il prototipo del “libro falso malvagio” che tanto successo ha avuto in seguito.

Già negli anni immediatamente successivi all’uscita del Dorian Gray il colore di quel libro è stato ispiratore: un anno prima dell’antologia di Chambers nasce la rivista «The Yellow Book», su cui Wilde non scrive mai ma che vive del suo spirito. Vi appaiono anche scritti di Max Beerbohm, amico ed estimatore del buon Oscar. Da notare infine che nel gennaio 1892 Charlotte Perkins Gilman pubblica sul «New England Magazine» un racconto dove il giallo è non solo protagonista ma simbolo stesso di follia: La carta da parati gialla (The Yellow Wallpaper), in cui il colore delle pareti nuoce gravemente alla sanità mentale dell’inquilina protagonista.

Forse la prova finale ce la fornisce Chambers stesso, visto che il personaggio del riparatore di riparazioni si chiama Wilde!

 

Non rimane che notare quanto gli pseudobiblia, i “libri falsi” inventati appositamente per raccontare una storia, siano poco conosciuti ma sempre più importanti in ogni tipo di comunicazione: da libri a film a serie televisive.

 

 

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